Hikikomori
Articolo pubblicato su "www.isernianews.it" il 02-01-2016
(“Eremiti Digitali”)
Buon Anno a tutti! Vogliamo iniziare questo 2016 parlandovi di una particolare patologia comportamentale che un uso intensivo e smodato di video game, di computer, di smartphone e di Internet in generale, potrebbe provocare non solo nei bambini e negli adolescenti, ma anche nei giovani adulti! Si tratta di un vero e proprio disturbo della mente che porta il soggetto colpito ad isolarsi nella sua cameretta per lunghi periodi di tempo. I giapponesi chiamano gli individui che ne soffrono “Hikikomori” (lett. “stare in disparte, isolarsi”).
Il termine è composto dalle parole “hiku” (tirare) e “komoru” (ritirarsi). Un Hikikomori, quindi, è una persona che si è letteralmente “ritirata” dalla società! Queste persone sono state, in un certo senso, “rapite” dalle nuove tecnologie e private di ogni contatto sociale, dimostrando che l’uso smodato e sprovveduto di computer e cellulari può diventare davvero “pericoloso” e capace di compromettere la crescita personale e sociale di un giovane individuo! Il termine fu coniato dallo psichiatra Tamaki Saitō negli anni ‘80, quando cominciò a rendersi conto che sempre più adolescenti mostravano gli stessi preoccupanti sintomi: letargia, incomunicabilità, isolamento totale, depressione, comportamenti ossessivo-compulsivi (soprattutto automisofobia – ossia la paura di essere sporchi) e manie di persecuzione! Dalle ricerche condotte dal Dott. Saitō, risultò che chi soffriva (e soffre) della sindrome di Hikikomori in Giappone ha un’età compresa tra i 19 e i 27 anni e, per oltre il 90% dei casi, è di sesso maschile e di estrazione sociale medio-alta. Nato come forma di ribellione alla cultura tradizionale giapponese, fondata sull’arrivismo e sull’affermazione sociale ed economica, questo fenomeno incominciò, dagli anni ’90, a diffondersi anche negli Stati Uniti, in Europa e nel resto del mondo. Anche l’Italia né è stata colpita in tempi più recenti: i primi sporadici ed isolati casi di giovani Hikikomori italiani sono stati diagnosticati nel 2007, ma, da allora, il fenomeno ha continuato a crescere e diffondersi tant’è che, oggi, stime approssimative parlano di circa 20/30.000 casi! Secondo i medici, negli Hikikomori, più che la depressione, il sentimento prevalente è la vergogna: si vive, come un fallimento, la distanza tra il mondo che si è immaginato e previsto per sé e quella che, invece, è la realtà!
Più il mondo idealizzato è dissimile dalla realtà in cui ci si imbatte, tanto più grande sarà il senso di vergogna che l’Hikikomori prova. Questo spiega perché ad essere, oggi, più colpiti, sono proprio i giovanissimi (13-15 anni), indipendentemente dalla posizione geografica e sociale, i quali, posti di fronte alle comuni sfide della crescita, preferiscono evitare, sempre di più, il mondo esterno fino a scegliere l’autoreclusione in un piccolo “universo” (la loro stanza), in cui i contatti con il prossimo avvengono solo attraverso social network o videogiochi e in cui il ritmo sonno-veglia viene completamente invertito! In questo modo, quindi, la Rete aiuta a costruire legami ma senza troppi pericoli e, soprattutto, senza “mettere in gioco” il corpo.
La patologia ha assunto una tale rilevanza sociale che viene curata con psicofarmaci, con sedute di psicoterapia e, nei casi più gravi, addirittura col ricovero ospedaliero! Spesso gli Hikikomori vengono ospitati in apposite comunità di recupero per essere “disintossicati” dalle loro ossessioni tecnologiche, dove imparano a (ri)avere fiducia in sé stessi, a socializzare e a relazionarsi con gli altri. Tutte le tecnologie che utilizziamo possono essere (e lo sono) un potentissimo strumento di socializzazione e di condivisione, ma non bisogna dimenticare che questa deve essere sempre funzionale alle relazioni sociali c.d. “fisiche”: una bella stretta di mano, un forte abbraccio, un sensuale bacio e, in generale, la presenza fisica di una persona nel nostro spazio c.d. “prossemico” ci rende presenti, vivi e partecipi della realtà in cui viviamo.
I-Forensics Team
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