Uno Sherlock Holmes 3.0
Articolo pubblicato su "Il Quotidiano del Molise" del 06-03-2017
Articolo pubblicato su "www.isernianews.it" il 04-02-2017
(Algoritmi Detective Inquietanti)
Quando pronunciamo la parola “detective”, viene subito in mente “Sherlock Holmes”, il celebre personaggio dei romanzi polizieschi di Conan Doyle. Nella Londra Vittoriana, Sherlock risolveva intrigati misteri servendosi solo della logica e delle sue eccezionali abilità investigative.
Col trascorrere degli anni, le indagini hanno subito evoluzioni, diventando sempre più complesse e tecnologiche. La presenza dei computer in ogni attività quotidiana ha stravolto completamente le tecniche investigative utilizzate per acquisire, conservare ed analizzare tracce ed indizi. Si parla, oggi, di “Digital Forensics” (o “Scienza Forense Digitale”) per indicare investigazioni condotte su dispositivi tecnologici e finalizzate a recuperare informazioni che vi sono memorizzate. A queste particolari analisi, le forze di polizia, ricorrono sempre più spesso, soprattutto per contrastare il terrorismo di matrice islamica. Ma, in ambito informatico, esiste anche un altro interessante settore di ricerca, i cui risultati potrebbero essere combinati proprio con le metodologie della Digital Forensics: l’Intelligenza Artificiale.
Da tempo si progettano e si realizzano sistemi, sia hardware che software, sempre più capaci di “pensare” ed agire come un essere umano. Il passo successivo, sarà quello di fondere le due discipline per realizzare un sistema che, in totale autonomia ed adeguatamente programmato, sarà capace di condurre indagini sia in Internet che sui più disparati dispositivi digitali. Il primo che ebbe una simile intuizione non fu uno scienziato, ma un giornalista in pensione della Virginia, un certo Thomas Hargrove, appassionato di dati e numeri. Costui formulò un algoritmo in grado di stanare i criminali. Nel 2004, mentre si stava occupando di un’inchiesta sul mercato della prostituzione, si imbatté “casualmente” in un report dell’FBI che elencava oltre 16.000 omicidi avvenuti nel 2002. Si trattava di un database molto dettagliato, contenente informazioni sui criminali arrestati, sulle loro vittime e su come queste erano state uccise. Hargrove ebbe l’idea di dare “in pasto” ad un computer questa enorme mole di dati affinché individuasse i potenziali serial killer. Raccogliendo ed incrociando i dati, il giornalista si accorse che, nella cittadina di Gary (nello stato dell’Indiana), ben 14 omicidi, rimasti insoluti, avevano avuto per vittime sempre e solo donne, di età compresa tra i 20 e i 50 anni, e tutte erano state strangolate in casa. Questo particolare lo spinse ad avvertire la locale polizia sulla probabile presenza in città di un omicida seriale; criminale che, nel 2014, fu effettivamente individuato ed arrestato. Qualche anno dopo, Hargrove perfezionò la sua idea e si dedicò completamente al suo progetto, che chiamò “Map” (“Murder Accountability Project”), una sorta di database open source degli omicidi.
Con Map i c.d. “Big Data” furono, per la 1° volta, impiegati in ambito investigativo. L’enorme mole di informazioni permette, infatti, di “prevederne” altre in tempo reale! Di questo ne sono già coscienti da tempo altri settori, come quello pubblicitario, quello politico e quello sanitario. Invece, gli ambienti investigativi, stanno scoprendo l’importanza e l’utilità dei Big Data solo da qualche anno! La Questura di Milano, ad esempio, si serve di un particolare software chiamato “Key Crime”, capace di prevedere le rapine. Appositi algoritmi riescono, infatti, a trovare correlazioni tra i vari colpi, verificandone la possibile serialità e riuscendo ad individuare gli obbiettivi più a rischio.
La progettazione di sistemi investigativi automatizzati, in grado addirittura di “prevedere” il crimine, prima ancora che esso avvenga, oltre ad aver già stimolato la fantasia di vari autori (si pensi al sistema “Precrimine” di “Minority Report” o all’onnisciente “ctOS” del videogame “Watch Dogs”), fa sorgere interrogativi inquietanti: se occorre necessariamente sapere tutto di tutti, questa enorme conoscenza quali controindicazioni potrebbe avere per la nostra libertà e la nostra privacy? Potrebbe, alla fine, renderci tutti schiavi proprio di quei sistemi che stiamo creando per proteggerci?
I-Forensics Team
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