Come gli algoritmi decidono cosa ci piace sui social o sul web

Gli algoritmi guidano le strategie con cui Facebook, Google o Twitter mettono in evidenza i contenuti che dovrebbero interessare di più l’utente

algoritmi

Fonte: https://www.wired.it/internet/web/2018/11/01/algoritmi-scelta-social-network-web/ di Laura Aldorisio

1 Nov, 2018

I motori di ricerca decidono per noi cosa sia rilevante nella conoscenza e, ultimamente, agiscono in maniera personalizzata”, esordisce Alessandro Chessa, data scientist e amministratore delegato Linkalab, centro studi sui big data. I suoi studi interrogano i meccanismi della rete e le strategie perseguite dagli algoritmi. “Di fatto dietro a ogni ricerca c’è sempre un algoritmo che mira a soddisfare l’utente, a farlo contento. Ma è una strategia elementare: più sei contento e più rimani a navigare dove sei contento e questo aspetto ha anche una funzione commerciale”, spiega.

Gli algoritmi che aiutano chi naviga a filtrare e selezionare i post o le foto degli amici sui social, così come le pagine più rilevanti su Google, si allineano ai nostri gusti. Questa logica comporta due importanti rischi secondo Chessa. Da una parte è limitante, “perché a ben pensarci le cose importanti e creative che capitano nelle attività umane sono legate all’andare fuori dai binari, dagli schemi, come le grandi intuizioni imprenditoriali insegnano”. E dall’altra, ancor più rilevante, questo meccanismo autoreferenziale amplifica le nostre preferenze e ci fa cadere nelle cosiddette echo chambers, che sono il brodo di coltura perfetto per la diffusione delle fake news”.

Echo chambers, letteralmente “camere dell’eco” o “casse di risonanza”, è un termine che identifica una trasmissione ripetitiva di uno stesso messaggio in un ambito chiuso al punto che un’interpretazione discorde non trova possibilità di espressione.

Vengono replicate le notizie e si auto alimentano in termini di credibilità

per il fatto che grandi comunità le avvalorano e le ripostano. Uno tende a cercare conferma sulle presunte verità in cui crede in partenza. “Sui grandi numeri però si tende a perdere il controllo. Facebook è in difficoltà su questo lato. Ha problemi di credibilità anche se questa tecnologia funziona alla perfezione per la pubblicità. Ci si deve porre il problema etico a tutti i livelli”, spiega Chessa.

“Sui social se hai 5mila amici o segui 10mila persone è utile che ci siano criteri di scelta che identifichino quello che ti dovrebbe interessare di più. Questo significa però che decidono per noi cosa ci piace”, aggiunge. Se interagisci con una persona, allora l’algoritmo ripropone con maggiore probabilità i contenuti di quella persona, e questo meccanismo è gestito autonomamente dalla macchina. Di ognuno si può analizzare la rete delle connessioni sociali attraverso le relazioni di amicizia o i follower. “Se la si studia nel suo complesso si ha un’idea di quali siano le persone più o meno vicine che possono seguire le dinamiche delle tue attività. In termini tecnici si definiscono delle misure di centralità nel grafo sociale, cioè misure che ti dicono chi ha una posizione predominante in questa rete di relazioni”.

Con la nuova frontiera del machine learning si sta spostando ulteriormente il livello di automatismo. Una volta addestrata, la macchina è in grado di prendere decisioni anche su casi che non erano noti all’inizio. “Io non ho un atteggiamento negativo sul tema”, dice Chessa. Due però i consigli: prima di tutto essere coscienti di queste dinamiche. Secondo: “Cercare di fare amicizia con le macchine. Siamo probabilmente in una transizione della specie: è venuto il momento di pensare a una co-evoluzione con le macchine. Il punto sarà come conviverci e cooperarci per trarne vantaggio”.

Siamo nel pieno di una nuova fase, quella della generazione di algoritmi del machine learning, sistemi che imparano dall’esempio che prima di tutto l’uomo offre con le sue azioni, abitudini, reazioni, tutte rigorosamente registrate. “Siamo quindi noi ad alimentare di dati questi servizi dando il nostro esempio e le applicazioni sono sotto i nostri occhi: riconoscimento della voce, suggerimenti personalizzati per la composizione dei testi sulle tastiere dei cellulari, sistemi di raccomandazione per l’acquisto di prodotti, fino ai sofisticati sistemi di dynamic pricing che aggiustano i prezzi dell’e-commerce in tempo reale a seconda dei nostri comportamenti”, incalza. 

Con l’intelligenza artificiale la macchina impara dagli esempi che gli forniamo e diventa particolarmente efficiente nel dare risposte imprevedibili e molto sofisticate, anche su compiti tipicamente umani, come per esempio il riconoscimento di immagini. “Un grosso problema è che di fatto non sappiamo neanche bene come funzionino intimamente questi algoritmi, come questi esempi plasmino le connessioni delle reti neurali multistrato, il cosiddetto deep learning”, dice Chessa. E aggiunge: “Sappiamo come addestrare e sappiamo come fornire gli input, ma non sappiamo come avviene l’ottimizzazione di queste reti affinché producano il corretto output. Si porrà presto un problema di controllo e anche etico”.

E tutto questo fa già parte della nostra quotidianità: si pensi, per esempio, ai sistemi di digitazione intuitiva delle tastiere degli smartphone che prevedono cosa si sta scrivendo. Basta fare una prova: iniziare a scrivere un testo e scegliere sempre il risultato centrale dei tre che il sistema normalmente suggerisce. Se si cliccherà continuamente il tasto centrale, che è il più probabile, si potrà leggere il testo che uno avrebbe scritto secondo la macchina, partendo da un incipit qualsiasi. “L’intelligenza artificiale senza l’enorme quantità di informazioni oggi disponibili, i big data, non esisterebbe. Ognuno di noi, senza neanche saperlo, sta contribuendo a questa rivoluzione”, conclude Chessa. 

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